Prima della politica, c’è l’urgenza assoluta di soccorrere e aiutare le vittime colpite dal terremoto. Ma anche disinnescare la propaganda pro-regime è importante: per far sopravvivere la Siria dei siriani.
“Sarà un test di umanità e saremo giudicati tutti dalla storia: la Siria che deve superare divisioni e conflitti interni, come la comunità internazionale. Un test di umanità”. Parole bellissime quelle del nunzio apostolico in Siria, il cardinale Mario Zenari. Si impegni al massimo la comunità internazionale, rivali e nemici della Siria, Damasco per prima. Prove di umanità. E’ davvero ora di pensare ai civili, colpiti da una doppia catastrofe: il terremoto di lunedì e una crisi umanitaria, politica, geopolitica, “esistenziale”lunga 12 anni. Il governo siriano si è risolto a chiedere formalmente a Bruxelles l’attivazione del meccanismo di protezione civile degli stati membri e di ricevere aiuto ( la Turchia lo aveva già fatto). E ha inviato una lettera all’ONU allegando la lista dei materiali fondamentali per i soccorsi e per l’assistenza medica.
Il ministro degli esteri siriano aveva detto di essere costretti a “scavare a mano tra le macerie, perché gli strumenti per rimuoverle sono proibiti, per la punizione dagli americani che bloccano rifornimenti e attrezzature”. La Cina ha chiesto di togliere le sanzioni. Lo aveva chiesto anche Khaled Hboubati, capo della Mezzaluna Rossa: toglierle “per far fronte agli effetti del devastante terremoto” e in queste ore ha spiegato e promesso che gli aiuti sarebbero arrivati in tutte le aree del paese, comprese quelle fuori dal controllo di Damasco. Da noi in Italia, lo hanno chiesto la comunità di Sant’Egidio e Anpi. Nei giorni scorsi l’ambasciatore presso le Nazioni Unite Bassam Sabbagh aveva spiegato che tutti gli aiuti sarebbero stati ben accetti e avrebbero riguardato “tutti i siriani e i territori siriani” a patto che questi passassero per Damasco e in accordo col governo, non da altre frontiere. Ma il sotto testo lo ha esplicitato Zein, la figlia diciannovenne di Assad su Instagram: non inviate aiuti ai ribelli. Tradotto: non inviate aiuti a nord-est, enclave fuori dal controllo del regime. Sottotesto del sottotesto: noi non lo abbiamo mai fatto. Ma ci vivono quattro milioni di persone di cui tre fuggite da Aleppo, Homs, Daraa, teatro dei bombardamenti del padre e dell’alleato russo. E inseguite dai soliti bombardamenti anche lì. Il punto: davvero Damasco può e vuole sostenere tutta la Siria, mettendo da parte la sua guerra contro i “ribelli”? Il tentativo del regime di convincere l’Occidente di essere impossibilitato ad intervenire sullo scenario del terremoto per colpa della “punizione“ delle sanzioni, ha fatto il giro del mondo e inquinato una volta di più la visione dello scenario siriano, anche quella di autorevoli voci. Mentre è entrato il primo convoglio di aiuti ONU dal valico di Bab al Hawa, nell’area non controllata dal regime, l’unico autorizzato da Mosca e Damasco (e la Turchia) per l’ingresso di cibo, materiale sanitario, beni essenziali ( ieri l’unico ingresso era stato quello di 85 cadaveri fatti entrare in Siria per essere seppelliti a casa), vediamo almeno a grandi linee perché è falso che le sanzioni ostacolano gli aiuti. E anche perché i paesi occidentali non si fidano di Assad. Secondo analisti e attivisti l’ipotesi migliore è che si aprano tutti e 8 i valichi lungo il confine turco e garantire l’uso e le effettive destinazioni degli aiuti, più che agire sulle sanzioni.
Sanzioni e aiuti umanitari
Le sanzioni economiche di Usa e Ue sulla Siria non incidono sullo stanziamento di denaro e l’invio di aiuti nelle aree colpite dal terremoto e in generale nel paese: non si applicano a ONU, Ong e nemmeno a organizzazioni o soggetti che hanno scopi umanitari. Mirano a colpire il clan Assad e i loro finanziatori e interrompere le continue violazioni dei diritti umani di cui sono fautori. A Damasco sono già atterrati voli carichi di aiuti. Dall’Algeria, ad esempio. Lo hanno fatto anche Emirati Arabi Uniti, Iraq, Iran, Libia, Egitto, India. Anche i talebani dall’Afghanistan, Arabia Saudita, il Qatar, l’Oman, la Cina e il Canada hanno promesso sostegno. Le uniche autorizzazioni da mediare, fino a oggi, sono state semmai quelle di Russia e Cina che pongono da anni il veto all’ONU sull’ingresso di convogli dai quattro valichi con la Turchia. Il motivo è che Assad vorrebbe il controllo di quel che entra in quell’area. L’apertura di altri valichi sostiene che mini la propria sovranità, nell’ottica della riconquista di quella porzione di territorio. Va da sé che non vede di buon occhio la sopravvivenza di chi ci vive. Ankara ha autorizzato in queste ore, dopo lunghe trattative, anche l’apertura di altri due valichi: Bab al Salamah e al Rai. Al netto di una situazione altrettanto disastrata dall’altra parte.
Le Nazioni Unite sono il principale attore degli aiuti umanitari nel paese, con una forte influenza su come vengano spesi i 2,5 miliardi di dollari all’anno (dal 2014) provenienti dai governi. Attraverso UNOCHA (dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari) coordinano gli aiuti in Siria (inizialmente, nel 2014, utilizzando 4 valichi di frontiera, e oggi attraverso uno solo, il già menzionato di Bab al Hawa, sopra Idlib).
Nel 2022, sono entrati 7.566 camion carichi di aiuti raggiungendo in media 2,7 milioni di persone al mese. Il monitoraggio economico degli aiuti e dei finanziamenti è affidato a FTS, Financial Tracking Service: al 9 febbraio 2023, il finanziamento per la Repubblica araba siriana è di 2,34 miliardi, di cui il 90% finanziato tramite piani. Le fonti dei finanziamenti: 44,2% dagli Stati Uniti, il 24,8% dalla Germania e 8,7% dalla Commissione Europea. Oltre alle Nazioni Unite, sono operatori e partner, tra gli altri, la Croce Rossa Internazionale e la Mezzaluna Rossa Araba Siriana. Qui l’infografica di UNOCHA sui finanziamenti dei programmi di aiuto:


L’ONU ha raggiunto 7,8 milioni di persone, lavorando in 13 settori con 186 partner su 763 progetti. Questi i dati sulle aree più bisognose di aiuto in Siria. Fonte: il report “Umanityan Needs Overview Syrian Arab Repubblic 2022” di OCHA.


Gli Stati Uniti
Gli Usa, hanno approvato nel 2019, sotto l’Amministrazione Trump, il “Caesar Act” (dal nome attribuito al fotografo e funzionario siriano che trafugò 55.000 scatti dei dissidenti torturati e uccisi nelle carceri del regime). Prevede e applica sanzioni economiche alla famiglia Assad, a soggetti vicini al regime e chiunque faccia affari con loro, con l’obiettivo di fermare i bombardamenti e le continue violazioni dei diritti umani. Sono misure revocabili a patto che (questi i primi tre punti): 1) lo spazio aereo siriano non sia utilizzato da Siria e Russia per bombardare i civili 2) le aree assediate da governo, Russia e Iran non siano più “tagliate fuori da aiuti internazionali e abbiano regolare accesso all’assistenza umanitaria, alla libertà di viaggio e alle cure mediche” 3) Il governo rilasci “tutti i prigionieri politici detenuti con la forza all’interno del sistema carcerario del regime” 4) Siria, Russia e Iran non siano più “impegnate in azioni deliberate a prendere di mira strutture mediche, scuole, aree residenziali e luoghi di ritrovo della comunità, compresi i mercati, in violazione delle norme internazionali”. La legge esclude esplicitamente dalle sanzioni gli aiuti umanitari alla popolazione, fornendo “assistenza al popolo siriano al fine di promuovere la pace, la stabilità e lo sviluppo, anche attraverso organizzazioni multilaterali (cit. SEC. 7421). Il regolamento sulle sanzioni siriane prevede un’esenzione per le varie organizzazioni sotto l’egida delle Nazioni Unite, compresa la Banca mondiale.
Secondo alcuni il “CA” colpisce più che altro la popolazione, stretta in mezzo ad una corruzione catastrofica e scelte politiche rapaci nel proprio paese, unite ai cancri della crisi libanese. Ma va ricordato però che gli Usa, secondo il Code of Federal Regulation, concedono una licenza alle ONG che lavorano in Siria sul fronte dei soccorsi, del sostegno o dello sviluppo bypassando le sanzioni. Il 24 novembre 2021, l’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro, ha modificato il Regolamento sulle sanzioni siriane (SySR) per autorizzando le ONG “a impegnarsi nelle seguenti operazioni e attività aggiuntive a sostegno di determinate attività senza scopo di lucro in Siria: nuovi investimenti in Siria; l’acquisto di prodotti petroliferi raffinati di origine siriana da utilizzare in Siria; e alcune transazioni con elementi del governo siriano”.
L’Unione Europea
L’Unione Europea. Nel 2011 il Consiglio ha stabilito misure restrittive nei confronti della Siria. Lo scorso 31 maggio, sono state prorogare fino al 1 giugno 2023 misure restrittive come il divieto di viaggio e il congelamento dei beni di 287 persone e 70 entità: gli Assad e famiglie imparentate per sangue e affari e società ad essere collegate. Le sanzioni includono: embargo sul petrolio, restrizioni su alcuni investimenti, il congelamento dei beni della banca centrale siriana detenuti nell’UE, restrizioni “all’esportazione di attrezzature e tecnologie che potrebbero essere usate a fini di repressione interna nonché di attrezzature e tecnologie per il monitoraggio o l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche od online”. Ma con una grande eccezione: “Nell’ambito dell’approccio mirato dell’UE all’uso di sanzioni, quelle nei confronti della Siria sono concepite in modo da non ostacolare la fornitura di assistenza umanitaria. Di conseguenza, l’esportazione di prodotti alimentari, medicinali o attrezzature mediche non è soggetta alle sanzioni dell’UE ed è prevista una serie di eccezioni specifiche per fini umanitari”. Lo chiarisce il punto 3 qui sotto:

A marzo 2021, nella quinta Conferenza di Bruxelles, “Sostenere il futuro della Siria e della regione”, Janez Lenarcic, Commissario europeo per la cooperazione internazionale, ha annunciato la donazione di 3,6 miliardi di euro nel 2021, mentre per il 2022 e oltre e sempre in donazioni, altri 1,7 miliardi di euro: ”Oltre alle donazioni le istituzioni finanziarie e i donatori hanno annunciato dei prestiti con regime di concessione per 5,9 miliardi di euro”- ha detto. UE e gli Stati membri, dall’inizio della crisi nel 2011, hanno mobilitato oltre 24,9 miliardi di EUR “per sostenere i siriani più vulnerabili all’interno del paese e in tutta la regione”.
Trame e mire a Damasco
Il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani ha annunciato l’invio di aiuti attraverso la Mezzaluna Rossa Siriana che è in effetti un organo del governo di Damasco: il suo capo è vicino ad Asma al Assad, la first lady. Lo leggo su Il Foglio: “Dopo aver investito nel settore dei night club e dei casinò prima della guerra, è diventato presidente di una squadra di calcio legata al regime baathista, al Wahda.
Molti paesi sono scettici nell’invio diretto al regime puntando su partner locali, organizzazioni e Ong che operano direttamente sul territorio, a nord -est. La Gran Bretagna ad esempio ha riconfermato l’aiuto diretto ai White Helmets, protezione civile parallela a quella governativa siriana, che in queste ore opera praticamente da sola per estrarre e soccorrere le vittime del terremoto. Qui di seguito, alcuni motivi dello scetticismo sul dover passare dal regime. Alla luce di questi, rimanga chiaro che il perché i programmi internazionali continuino a lavorare e ed essere finanziati è inattaccabile: continuare a sostenere la popolazione. Con ogni mezzo e in ogni scenario.
Nel 2016 un’inchiesta esclusiva del Guardian rivela che-alla luce del fatto che l’Onu sa bene e ha ha dichiarato di poter lavorare solo con precisi partner approvati- contratti per milioni di dollari erano stati stretti per azioni di aiuto e sostegno con soggetti risultati appunto legati al regime. Come l’ente di beneficenza Syria Trust, un’organizzazione fondata e presieduta da Asma al Assad, e investendo 8,5 milioni di dollari. La first lady è soggetta a sanzioni sia statunitensi che europee. Lo stesso è per Rami Makhlouf, l’uomo più ricco della Siria, cugino di Assad: l’Unicef ha pagato 267.933 dollari all’Associazione da lui gestita, Al-Bustan, ed è “descritto nei dispacci diplomatici statunitensi come il ‘cartello della corruzione’ del paese”- si legge nell’indagine.
A fine 2021 i ricercatori del Center for Strategic and International Studies (CSIS), l’Operations & Policy Center e il Center for Operational Analysis and Research Found, hanno dimostrato come nel 2020 la Banca centrale siriana, già sanzionata da Regno Unito, Stati Uniti e UE, abbia guadagnato 60 milioni di dollari intascando 0,51 centesimi per ogni dollaro di aiuti inviato alla Siria, sfruttando i contratti delle Nazioni Unite per beni e servizi sul territorio sotto il suo controllo. Soldi andati nelle tasche dei funzionari del regime più che della popolazione. Perché: Nazioni Unite sono costrette ad utilizzare il tasso di cambio ufficiale delle lire siriane, ma la lira siriana è crollata, come le banche libanesi, e il governo ha guadagnato sfruttando il divario tra il tasso ufficiale e quello del mercato nero della valuta.
Un report del 2021, realizzato da The Syrian Legal Development Programme (SLDP) con Observatory of Political and Economic Networks, attraverso fonti open source, ha indagato un centinaio di soggetti ed enti o organizzazioni che hanno stretto contratti con le agenzie internazionali. Come “Desert Falcon LLC, o Saker Al-Sahraa LLC, una società che si è aggiudicata contratti con UNICEF e UNRWA nel 2019 e nel 2020 per un importo totale di 1.036.036 USD. La società è di proprietà di Bilal Mohammad Al-Naal e Fadi Malek Ahmad. Fadi Ahmad è più comunemente noto come Fadi Saqr. Saqr ha assunto la guida delle famigerate forze di difesa nazionali, una milizia filo-governativa, nota come Shabiha, operativa a Damasco dal 2012. Saqr, che ha stretti legami con il presidente Bashar al-Assad, è il capo supremo della milizia Shabiha a Damasco, che ha commesso il massacro di Tadamon nel 2013”. In generale, molte fonti parlano di tentativi di manipolazione se non direttamente controllo su chi opera o vorrebbe operare nei territori a nord, ma anche di quelli nella aree governative. Le mette nero su bianco a fine 2021 un report dal titolo “Weaponization Aid- interferenze and Corruption” redatto da SACD (Syrian Association for Citizen’s Dignity): “il governo utilizza organizzazioni locali come intermediari per accedere ai fondi e controllare l’affidamento dei progetti ai beneficiari” nominando dirigenti e impiegati, gestendo i fondi a seconda di distinzioni “settarie” e lealtà politiche: il 44% degli intervistati ( del settore) ritiene che oltre il 25% degli aiuti umanitari destinati alle aree controllate dal regime sia dirottato verso i militari e le milizie; l’81% ha confermato che il regime interferisce direttamente nel lavoro della loro organizzazione attraverso parenti e fiduciari o l’apparato militare; la maggior parte delle organizzazioni locali sono fondate da persone vicine al regime come mezzo per ottenere fondi, principalmente attraverso partnership con organizzazioni internazionali.

Una, due, tante Siria
Due, soprattuto. Quella del regime e dei paesi che lo tengono in vita, Russia e Iran, spartendosene aree di influenza e asset e risorse economiche e quella della popolazione, lealista o meno, anche vive per il 90% sotto la soglia di povertà in città semidistrutte, dentro un’economia disastrata. La prima è al centro di un processo di “normalizzazione”. Un punto di quella normalizzazione è ad esempio pensare che le sanzioni siano la sola e vera causa della povertà dei siriani. L’altra Siria lentamente muore. Quella dei siriani che posseggono e sono il proprio paese. C’è voluto il terremoto per ripotare sotto i riflettori la questione siriana, soprattuto quella di chi vive nelle aree “ribelli”, a nord-ovest: Aleppo, Idlib, Afrin. Esattamente il cratere siriano del terremoto. Esattamente l’area in cui il regime con la Russia bombarda e assedia, secondo la considerata tecnica del “devi sparire”. Assad i siriani non li ama granché: chiama “terroristi” sia i dissidenti e gli oppositori politici o anche solo quelli che dissentono sui suoi metodi e sulla sua capacità politica ( li assedia o li tortura in carcere), sia i jihadisti veri, dall’Isis passando per tutte le formazioni islamiste che si sono infiltrare ad un tratto del percorso delle proteste del 2011 per dare spazio alle proprie istanze e a quelle dei paesi che le hanno finanziate. Con l’ossessione, come da tradizione di famiglia, più per gli oppositori politici che per i secondi, ha finito per bombardare, distruggere e assediare città e villaggi in tutto il paese. Travolgendo tutto, usando di nuovo armi chimiche e qualsiasi altro mezzo di assedio già ampiamente condannato e proibito dalle Convenzioni e dalla comunità internazionale. È vero, da Idlib a Jarablus oggi c’è l’ultima enclave dei gruppi ribelli, dall’ex Esercito libero siriano, gruppo islamista di opposizione da qualche anno riformato e finanziato dalla Turchia, ad Hayat Tahrir al-Sham (l’ex Fronte al-Nusra). Fino alle milizie a guida curda, le Forze democratiche siriane (SDF), che difendono l’Autonomia creata più ad ovest. C’è una cittadina esattamente al centro di tutte queste presenze, ed è sopra Aleppo, Tell Rifaat. In una diretta di Limes, qualche giorno fa, ho sentito che sarebbe auspicabile un tavolo esattamente lì e l’arrivo all’aeroporto di Aleppo di voli con aiuti. C’è da risollevarsi dalla “contingenza” dei caccia russi e lealisti che hanno mirato agli ospedali, le infrastrutture civili, i mercati, le scuole, i quartieri più popolosi, uccidendo medici e operatori del soccorso ( come i Caschi Bianchi) e in qualche occasione colpendo i convogli Onu ( è successo il 19 settembre 2016: 18 di 31 camion di medicine e coperte bombardati a Urum al-Kubra, nord-ovest di Aleppo. Morirono 13 persone). Si contano oltre 600 ospedali bombardati e 878 operatori sanitari uccisi. E’ qui che il terremoto, che è una contingenza vera, oltre alla turistica costa di Tartus e la Aleppo dei quartieri lealisti, ha colpito di più e ora ci sarebbero più chance se la carneficina voluta dal regime non fosse avvenuta con una foga tale da far competere le macerie di lunedì con quelle lasciate dagli aerei. Il regime ha bombardato anche il giorno dopo il terremoto , nella città di Marea, 35 km a nord di Aleppo.
L’ostacolo all’emergenza terremoto non solo nel nord-est, (e forse anche Aleppo e le aree costiere, ma tutta la Siria..), potrebbero non essere le sanzioni, ma Assad stesso. E’ soprattutto rivolto a lui l’appello in queste ore: basta, ora “test di umanità”.

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