Il “confine maledetto”. Il sisma, gli artigli di Assad e la crisi umanitaria di Idlib


L’attuale bilancio ufficiale del sisma è di 5.000 morti. Ma alcune stime ne ipotizzano oltre 20.000.

E mentre si cercano freneticante dispersi e famiglie intere ancora vive sotto le macerie e ad oltre 24 ore dalla prima scossa villaggi e piccole città non sono ancora state raggiunte, l’ambasciatore siriano presso le Nazioni Unite Bassam Sabbagh fa sapere che il paese accoglierà con favore gli aiuti internazionali e che il governo sarà il responsabile della loro distribuzione “a tutti i siriani in tutto il territorio della Siria”. Comprese dunque le aree che non sono sotto il suo controllo? Questo potrebbe voler dire due cose: che la lunga mano del regime degli Assad è pronta ad accaparrarsi denaro e aiuti; che alla popolazione nelle aree sotto il controllo dei ribelli scientificamente potrebbe non arrivare nulla. Quel che non hanno fatto ancora le bombe russe e lealiste su quell’area insomma, lo farà il sisma?

Dubbi che trovano conferma nel sostegno che la Gran Bretagna ha riconfermato a favore dei White Helmets, i 3.000 uomini della protezione civile attiva in quell’area, e nelle parole del portavoce del Segretario di Stato americano: avrebbe escluso la consegna di aiuti per mezzo del governo siriano: “Sarebbe ironico, brutalizza la sua stessa gente”.

Lo scenario. Aleppo è sotto il controllo del regime dal 2016, ed è una delle aree più colpite dal sisma. L’altra è la regione di Idlib: 4 milioni di persone, di cui tre sfollate dalle aree “ribelli” e lì radunate secondo le politiche di de-escalation sponsorizzate dalla Russia.  E’ sotto il controllo di milizie islamiste e gruppi armati dell’opposizione. Il primo è il Syrian National Army ( ex Esercito libero siriano), controllato e finanziato dalla Turchia. 

Russia e Damasco da 12 anni bombardando sistematicamente, anche con armi chimiche, villaggi e città colpendo più la popolazione civile che le milizie. In particolare si distruggono ospedali e presidi sanitari, secondo una consolidata tecnica del terrore. Freddo, carburante introvabile, colera, collasso economico. E ora il terremoto, così catastrofico da aver fatto implodere case e palazzi. Damasco, con benestare russo, ha autorizzato da tempo un solo valico per garantire l’ingresso transfrontaliero di aiuti in quell’area perché sostiene che la sua sovranità potrebbe esserne danneggiata, nell’ottica della totale riconquista del paese. E’ quello di Bab al Hawa, sopra Idlib. L’altro, vicino, è quello di Bab al-Salam. Entrambi sono sotto il controllo turco. Ankara ha un accordo con le milizie per permettere l’uscita di emergenze sanitarie verso le strutture Onu e gli ospedali oltre confine. Periodicamente, ad ogni rinnovo degli accordi ONU, Russia e Cina pongono il veto sull’utilizzo di tutti e quattro i valichi esistenti attraverso cui far passare convogli umanitari. Quindi tre sono attualmente chiusi.

Eppure la popolazione sopravvive quasi interamente con gli aiuti che passano da quell’unico valico. La maggioranza degli sfollati e dei loro campi non si trova nel cratere del terremoto, ma questo non impedirà che tali campi adesso raddoppino le presenze.  Le Nazioni Unite hanno fatto sapere che le strade ora sono impraticabili, perché rotte o inagibili per le condizioni meteo e che gli aiuti sono attualmente sospesi. Non si sa per quanto tempo. 

Quindi: valichi chiusi, terremoto, le milizie filo-turche, il regime di Damasco che potrebbe non essere collaborativo. Anzi, potrebbe approfittarne. Magari chiedendo che vengano tolte le sanzioni economiche. 

L’appello di molte organizzazioni umanitarie locali è che sia Ankara a collaborare per aprire le frontiere. In Turchia stanno arrivando squadre di soccorso da tutto il mondo. Ma Erdogan, in Siria, esattamente sul confine, che è esattamente al centro del sisma, ha i suoi interessi. E il suo cruccio: annientare i curdi, sia a nord-est che a nord-ovest  e concretizzare il progetto di spostare i profughi siriani che ospita nel paese (nella sola Gaziantep ce ne sono 460 mila) nella striscia di 40000 chilometri dentro il confine siriano, “istituita” con l’ultima operazione militare del 2019. Sempre da quei confini nel 2014 sono transitati migliaia di foreign fighters per unirsi al Califfato. E poi merci, armi e trafficanti. Fino a lunedì notte. 

Ultime notizie. Nella zona di Afrin, altra città duramente colpita dal terremoto, nei mesi scorsi ci sono stati scontri tra le forze mercenarie turche e gruppi della stessa galassia. In queste ore dalla prigione militare di Rajo controllata dalle prime, danneggiata, sarebbero fuggiti 1.300 detenuti sospettati di aver fatto parte dello Stato Islamico.

2 risposte a "Il “confine maledetto”. Il sisma, gli artigli di Assad e la crisi umanitaria di Idlib"

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  1. se nonerro, la figlia del dittatore Assad ha chiesto di non inviare aiutinelle zone dove secondo loro ci sono i ribelli….ma se questi aiuti economici vengono gestiti dal governo, come dichiarano, state pur certi che quella povera gente non vedrà neppure un centesimo.

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    1. Il timore è esattamente quello. La situazione è molto fluida. Molti paesi non si fidano a inviare aiuti direttamente a Damasco, un regime la cui corruzione è peraltro ampiamente documentata. Quindi sosterranno realtà associative e partner che operano nelle aree in cui il regime non arriverà, un po’ perché non può ( Idlib è sotto controllo di milizie filo-turche e gruppi vari) e un po’ perché in effetti non vuole.

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