“Milano non è la verità“

Questo pezzo sarebbe dovuto uscire su un settimanale. È stato scritto lo scorso settembre, prima che il tema del “caro case” a Milano diventasse di moda. Lo pubblico qui, esattamente così come era stato consegnato, per rispetto di chi mi ha dedicato il suo tempo, mi ha incontrata, si è raccontato, mi ha fornito dati e strumenti per scrivere. Grazie di cuore.

“E’ una città che chiede molto e ti ridarà indietro molto poco. Io la trovo difficile. Il mito di Milano. Ma come dicevano gli Afterhours, Milano non è la verità”. Claudia andrà a vivere a Torino, farà un altro lavoro, qui ha un contratto collettivo commercio e vive in abitazioni precarie dal 2017. Da gennaio a maggio ha cercato una nuova sistemazione a Milano sui gruppi Facebook. 550 euro di budget, venti case viste, solo in condivisione. Annunci per età, solo lavoratori o solo studenti. Contratti assenti o contratti in cui se un inquilino non paga, c’è la rivalsa sull’altro. I mobili della stanza rivenduti ogni volta a chi entra. Di recente viene chiesta la busta paga o un garante, un genitore magari. Niente famiglie con figli piccoli perché lo sfratto è complicato. Affitti brevi. Referenze. Case normali ma costose oppure tuguri. Posti letto a 400 euro e 900 dentro le mura, stanze da 500 in periferia. Bilocali da mille euro in su. “E’ un vero lavoro, stavo lì incollata. C’è il casting: devi inviare una tua descrizione a chi affitta. “Non hai potere, loro scelgono te. Il proprietario magari ha 82 anni, la casa non la vede da venti e gli interessa solo che gli mandino i dati della persona nuova. Colloquio di cinque minuti a pelle e tre o quattro persone in gara: io vado via nel fine settimana, io cucino sempre la parmigiana.. A me a 34 anni basterebbe solo poter rientrare la sera, in una casa solo mia”. C’è una generazione intera la cui vita sta tutta dentro una sola stanza, nella Milano città d’Europa, vetrina ed evento, capitale economica, della moda, dei grandi atenei, delle opportunità. Un’attrattività che ha fatto salire la domanda di abitazioni e un offerta che si è arrogata il diritto di gestire senza criteri -e senza scrupoli- il mercato degli affitti e delle vendite immobiliari. Il 30% delle transazioni è per investire. Un milione e mezzo di abitanti, 640 mila appartamenti, 500 mila pendolari, 80 mila studenti fuori sede. Nell’unico paese europeo in cui possedere una casa è un valore, a Milano è uno strumento finanziario. La prima vittima di questa “bolla” non è solo la vecchia classe media, ma i giovani lavoratori. E i milanesi stessi.

 

“Vivo in cohousing e pago la stanza 435 euro al mese tutto compreso. La casa è per 8 persone, progettata per gli studenti del Politecnico, io sono entrata durante il Covid, nessuno voleva vivere in condivisione. A dicembre devo lasciare perché si può rimanere massimo 18 mesi”. Giulia è milanese, ha 33 anni e fa due lavori. “Ho già visto una stanza qui nel quartiere a450 euro. Ci sono due inquiline della mia età di cui una sistemata nel salotto. Mi ha detto: se vuoi invitare i tuoi amici, potete mangiare sul tavolo in camera mia. Ma tu hai il balconcino quindi per stendere e fumare io vengo in camera tua”. “Se ci fai caso, sono i racconti che ci facevano i nostri coetanei quando andavano a Londra o Parigi”- commenta l’assessore alla Casa e al Piano quartieri Pierfrancesco Maran. Poi spiega il “caso” Milano. “Da Expo in avanti è cresciuta tantissimo, ed è crollata Roma e Torino. Gioverebbe a Milano se si rialzassero. Milano è l’unico luogo per una generazione che sa di non potersi costruire un futuro in Italia. Ed è un problema perché sono troppi”- dice descrivendo un turnover che ha sostituito un terzo degli abitanti in dieci anni e un’attrattiva per i 20-40 enni tale da giustificare lamentele e sacrifici: “La gente comunque paga. E non è che affittano da grandi speculatori immobiliari ma da famiglie milanesi epersone con la seconda casa a cui è difficile dire rinuncia ad un guadagno, quando qualcuno tanto ti pagherà quella cifra”. Anche Carlo Giordano, AD di Immobiliare.it, commenta in chiave sociologica gli ultimi dati del suo centro ricerca: +20,1% del costo di una singola, 620 euro contro la media italiana di 439. “Oggi un nucleo familiare medio ha un solo figlio che nasce da genitori sui 34 anni. Hai più potere economico e su quel figlio hai grandi aspettative, non è un problema pagargli 600 euro di affitto”. Non esiste nessuna “bolla”: “E’ l’economia fluida, va dove che c’è spazio. C’è grande domanda e l’offerta è ridotta proprio perché non è strutturata, è scarsa e pochi pezzi finiscono sul mercato, molti non vanno neanche in pubblicità perché tanto l’agente immobiliare ha già un foglietto con le persone che stanno cercando. E con pochi pezzi e pubblicità, il prezzo sale ancora di più perché il mercato non si corregge”. A Milano due terzi delle ricerche sono di affitto, l’acquisto è meno vivace, ma salgono entrambi da sei anni. Non esiste la fase della scelta della casa: la si vede e si fa l’offerta. C’è chi porta con sé l’assegno con la caparra per bloccarla subito.  

 

Si calcola che qui il 40% dello stipendio serva per l’affitto. Il 35.5 % dei redditi dichiarati a Milano è sotto i 15 mila. Oltre a studiare un canone concordato più attrattivo e potenziare i sussidi per gli affitti (richieste per 45 milioni a fronte dei cinque stanziati), il comune punta a creare fette di mercato protette col social housing, progetti con privati che prevedono quote di edilizia convenzionata. “Sul modello parigino, stiamo pensando ad una Società della casa che ha come obiettivo non solo di gestire le case popolari ma anche sviluppare edilizia convenzionata su aree pubbliche e aree private acquisibili strada facendo”-spiega Maran. Col progetto “Reinventing cities” è stata recuperata l’area ex macelli: “sono stati costruiti in edilizia convenziona 600 alloggi per gli studenti dello IED e ci hanno dato anche 70 milioni. La stessa cosa potrebbe farla lo Stato con vecchi scali ferroviari e caserme”. La convenzionata costa circa 3000 euro al mq e 100 euro per l’affitto. “Social housing vuol dire aree pubbliche, soldi in gran parte pubblici per interventi che devono garantire una rendita- spiega Mattia Gatti di SICET, il sindacato inquilini della CISL. Vendite e canoni di affitto sono un pò sotto il mercato, ma si tratta di gestioni privatistiche in sostituzione del vecchio intervento pubblico: canone sociale e case popolari. Se non paghi, te ne devi andare. Per entrare al “5Square”di via Ripamonti si deve dimostrare di poter pagare almeno tre volte il costo casa, cioè canone più spese, circa 2.400 euro mensili”- spiega Gatti. 

Nel biennio 20/21 sono state 6.305 le convalide di sfratto, in aumento quello per finita locazione. “In un paese in cui non ci sono adeguamenti automatici, a cominciare dagli stipendi, c’è la possibilità che i proprietari applichino un aumento. Vanno da 400 euro in casi di canone concordato a 800-900 all’anno in più”- spiega. E presto arriverà il problema dei conguagli per il riscaldamento. L’11% dei milanesi vive in case popolari, il cui sfitto, provincia compresa, è di 13.671 alloggi. Dora ha due bambini e una residenza fittizia perché vive temporaneamente in coabitazione con un’altra famiglia: “Lavoro in una mensa scolastica e tutto si basa sulle mie entrate. Si parla tanto della Milano ‘perbene’, ma non della grande fetta di persone che combattono tutti i giorni con la realtà”. 

 

AD Off Topic, gruppo di lavoro che studia i fenomeni di trasformazione della città e membro del collettivo PianoTerra, con sede nel cuore di Isola, l’idea è che il Comune non regolamenta ma agevola il mercato, attirando alti redditi e grandi investitori e sottraendo la città ai suoi abitanti. “Quartieri come questo o City Life poggiano su progetti che rideterminato tutto l’abitato cambiando il tessuto sociale. I city user, manager e quadri, magari non vivono qui tutto l’anno- spiega Gianluca. La scelta dei soli affitti brevi, coi prezzi che si aumentano a seconda del periodo influiscono sul costo della vita e sul mercato e questo espelle le persone, finite in Zona Farini a Dergano, quartieri che replicano in forme diverse lo stesso processo”. Le Olimpiadi 2026 ora puntano l’attenzione sul quadrante della città che va da Porta Vittoria alla Fondazione Prada, a Rogoredo e Santa Giulia. C’è l’area di San Siro, col nuovo stadio. Il caso “NoLo”, all’inizio di via Padova, è invece già sotto i riflettori: la rigenerazione sociale attuata dai suoi abitanti è diventata un brand e ha alzato i prezzi: “Non è stato costruito nulla, ma anche i nolers hanno finito per essere spinti più in giù”- spiega Emanuela Manni dell’Associazione Villa Pallavicini, a sud di via Padova, dove “finisce” Milano, 4.000 mila euro al mq in su. “La bolla speculativa si è irradiata dal centro alla periferia. Il centro è dei grandi investitori, soprattutto stranieri, la cerchia più intorno è del ceto medio-alto, i più poveri, anzi i lavoratori, non ci stanno più”. Con altre associazioni di zona è stata presentata una petizione per proporre soluzioni al Comune, come l’acquisto pubblico delle case finite all’asta per morosità e garanzia del mutuo ai privati, o l’aumento gli oneri di urbanizzazione, tra i più bassi in Europa. Pare sia stata ignorata: mille firme sono insignificanti in una metropoli. Riflette Manni: “In tanti mi hanno detto ‘Milano non mi piace più’, tutto costa, è tutto finto. Non è più fare migliorie come piazza Gae Aulenti, che è per tutti. Adesso senti che sono solo soldi che girano, e tu come milanese perdi territorio e servizi. Lo sento raccontare. A volte è solo un malessere che la gente non si sa spiegare”.

 

 

 

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