La Siria verso la normalizzazione. Un tappeto sotto il quale sono e saranno seppelliti milioni di siriani. E’ questo il sottotesto che personalmente leggo nella nota ufficiale sulla visita dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi a Damasco e Homs. La due giorni è servita per confermare l’attività di UNHCR nel paese ma anche ad auspicare l’ampliamento dgli interventi umanitari per chi torna ( o è “fortemente invitato” a farlo, come sembra avvenire in Libano) dopo essere fuggito nei mesi caldi della guerra. E’ un altro cappello ufficiale sulla grande campagna del regime per il rientro dai paesi ospitanti dei propri cittadini sfollati in Libano, Turchia, Giordania, Europa. La cui fuga non era dovuta al clima troppo secco, ma ai bombardamenti, alla pulizia etnica neanche troppo sottaciuta, alla guerra “ai ribelli”, alla persecuzione degli oppositori. “Tornate, non vi facciamo niente”. Peccato che chi è rientrato ha raccontato tutt’altro: arresti con accuse infondate, torture. Ne sono una testimonianza autorevole, per citare una delle tante fonti, le storie raccolte in Libano da Operazione Colomba, la missione dell’ssociazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Per non parlare della rete di informatori e servizi che in Europa, attraverso le stesse ex ambasciate siriane, raccoglie dati su oppositori politici e nomi di rilievo del movimento rivoluzionario ( e dove può, li irretisce, come è probabilmente accaduto con Mazen Alhummada in Germania). Nei giorni corsi il regime di Bashar al-Assad ha anche riottenuto l’accesso ai database della polizia globale, l’Interpol, dopo le “misure restrittive” applicate allo scoppio della guerra nel 2011: accesso sospeso alla rete dati e alle comunicazioni con gli altri paesi membri sulle richieste di autorizzazione di arresti. La riammissione ai database è stata molto criticata soprattutto in virtù del forte interesse di Damasco a perseguitare rifugiati e dissidenti fuori dai propri confini e le possibili ripercussioni sulle domande di asilo e sulle cause penali internazionali contro i funzionari siriani.
Si legge nel comunicato di UNHCR: “Filippo Grandi ha incontrato il Ministro siriano per gli affari esteri, Faisal Mekdad, e il Ministro per l’amministrazione locale e l’ambiente, Hussein Makhlouf, con cui ha discusso le questioni legate al ritorno delle persone costrette a fuggire, comprese le modalità di risposta alle esigenze dei rifugiati. «Queste persone sono cittadini siriani ed è responsabilità del governo garantirne la sicurezza». E ancora: “Siamo impegnati a mettere in rilievo col governo le preoccupazioni espresse dai rifugiati, quali quelle relative a sicurezza, diritti di proprietà e opportunità di sostentamento. È poi necessario che anche la comunità internazionale dia il proprio aiuto per assicurare le risorse necessarie affinché le persone, inoltre, possano riparare le case danneggiate, disporre di acqua corrente, assistenza sanitaria e mandare i figli a scuola. Affinché il ritorno delle persone sia sostenibile è necessaria la collaborazione di tutte le parti coinvolte. Infine, dobbiamo garantire sostegno continuo ai rifugiati e ai Paesi che li accolgono”. Le persone prima di tutto, e i loro benessere, i loro diritti. Ma è tutto bello e buono. E qualcosa apre un buco nello stomaco: è il clima da “come nulla fosse successo”. Sono accordi con un regime genocida che, più che vinto una guerra civile, ha schiacciato gli oppositori e massacrato la popolazione civile con l’aiuto di altre tre potenze e un gruppo terroristico dal paese limitrofo non disdegnando attacchi chimici, arresti di massa e torture e pulizia etnica spacciandoli per “mali minori”, giustificati con l’immagine del “noi i soli paladini della lotta al Daesh”. La popolazione, fuori e dentro il paese, è allo stremo e a Idlib non si è mai smesso di bombardare i civili. I paese non esiste più, tranne le aree lealiste nelle principali città, certi quartieri di lusso in costruzione sulle macerie delle case degli sfollati e mercati storici e moschee restaurati per farci fare le foto agli amici filo regime e al ministero del Turismo. Fondi e aiuti li fagociterà in discrete percentuali il regime per alimentare i propri interessi e quelli degli alleati (ed è già avvenuto, tramite le carity della signora Assad). Dati e constatazioni che mi mettono a disagio, come vedere le foto di Grandi sui social, le cui caratteristiche rientrano perfettamente negli standard della migliore propaganda assadista: scatto con rifugiati felici e sorridenti e gitarella alla Grande Moschea. Sotto i suoi tweet, tra critiche e anche qualche insulto, c’è il messaggio di Wafa Ali Mustafa, attivista che sui social tiene il conto dei giorni dalla scomparsa del padre nelle carceri del regime. Cara Wafa, è difficile contestarti.

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