Questo è l’istante prima dell’inizio di un comizio di Giuseppe Di Vittorio a Sinalunga, in provincia di Siena. Fu un combattente delle Brigate Garibaldi, segretario della CGIL nel 1945 e l’anno dopo deputato del PCI all’Assemblea Costituente. La foto l’ho avuta da un amico che non c’è più, un uomo piuttosto duro e diretto che mi raccontava sempre della liberazione di Bologna, a cui aveva partecipato: “Una cosa spettacolosa”, diceva abbassando lo sguardo per non farmi vedere che si era commosso.
La foto è uno stargate, una finestra temporale. La piazza gremita d’istinto mi fa trasalire: queste folle non esisteranno per tanto tempo. E mi mette a disagio perché quegli sguardi parlano: “Cosa fate, dove andate, cosa avete imparato, come si sta da voi lì adesso?” Ci hanno dato un paese traballante, con parecchie macchie e sicuramente perfettibile, certo. Ma libero di essere libero. Qualcosa di impagabile, chiedetelo ai siriani per esempio.
Quelle facce sotto i capelli in piazza aspettavano, più che Di Vittorio, sé stessi. Volevano sapere, ci credevano, avevano creato la loro “appartenenza” e la coltivavano anche quel giorno e in quel modo lì. Il mondo che stavano costruendo, sotto la guida di una Carta bellissima, riannodava fili e ne tesseva di nuovi, fortissimi. Era un mondo che nasceva dalla Resistenza e dalla Liberazione, ovvero da un grande “basta”, dalla coscienza civile, dalla democrazia, dal “bene di tutti è anche il bene mio”, dalla solidarietà, dal “fare”.
Ecco, a tendere bene l’orecchio, la maggior parte delle voci che si levano da questa foto dicono: “Fate, continuate a fare tutti insieme. Non abbiate paura”. E’ questa la Liberazione e questa la Resistenza, adesso che i partigiani scompaiono e il mondo è così smargiasso da permettersi di dimenticare da dove viene, negare fatti ed evidenze con vacuità o con la violenza, celebrare l’ignoranza, manipolare impunemente i fatti, fare della propaganda il proprio credo politico, ubriacarsi di inutile.
La Resistenza e la Liberazione sono storia, e la Storia se ne frega della retorica e delle “opinioni”. Chi contesta il 25 aprile rinnega la storia e la Costituzione, a cui poi comicamente si appella quando le cose gli vanno male. E non ha capito il tricolore. La bandiera piuttosto la usa per incartarci i cervelli e coprirci le scempiaggini di un regime di cui un po’ è nostalgico più per folclore e ignoranza che consapevolezza, un po’ perché il fascismo è per sua natura la riscossa dei mediocri e il trionfo della paura. E la morte del fare.
Viva il 25 aprile!
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