“La prima e l’ultima foto”: la storia di Rebecca

Darrin Zammit Lupi è un fotografo maltese che lavora per l’agenzia Reuters. Ho avuto l’occasione di conoscerlo esattamente il 16 ottobre 2017, il giorno in cui uccisero Daphne Caruana Galizia e io seguivo la vicenda per il programma di Michele Santoro, “M”.  In questi mesi ho seguito invece con molta partecipazione la sua di tragedia: la morte della figlia Rebecca, avvenuta il 3 gennaio di quest’anno, a 15 anni, per una grave forma di tumore alle ossa. 

Darrin oggi ha publicato per Reuters -The Wider Image il racconto della malattia dell’amatissima figlia. 

Un racconto per immagini privato, senza sconti, lucidissimo, pieno di amore. Cosi potente da ritrovarsi lì, in quella stanza, in ospedale, e sentire che è successo esattamente a noi, a noi soli nel mondo. Ci sono le fasi della malattia, le brevi speranze, il momento più privato: la morte. Da gennaio tutta Malta, ma anche migliaia di utenti della rete da tutta Europa si sono stretti intorno a lui e alla famiglia in una gara di solidarietà, affetto, empatia e vicinanza commuoventi. Quel sorriso era contagioso, Rebecca è diventata la figlia di tanti e la giovinezza di tutti. Quasi ogni giorno Darrin pubblica una sua nuova foto: momenti felici insieme, ritratti, l’avventura della vita. Anche il racconto per Reuters termina con la foto della nascita di Becs. Il messaggio è: “che benedizione è stata averla qui”. Perché qualsiasi cosa succeda o qualsiasi piega, per quanto orrenda e ingiusta, prenda la vita, è lui a vincere: l’amore.

Il link per vedere e leggere “The first foto i ever took of my daughter, and the last”

E qui un estratto: 

Nei mesi prima di morire, Becs aveva un gioco sul suo iPhone: “Sky Children of the Light”. Voleva che mi unissi a lei, quindi ho sostituito il mio vecchio iPhone con un modello più nuovo. Mi piaceva e adoravo giocarci con lei. Mentre i nostri avatar viaggiavano insieme, volando attraverso le nuvole e i paesaggi per varie missioni, in diversi regni – che alla fine ho scoperto simboleggiavano le diverse fasi della vita, dalla prima infanzia alla morte e oltre – lei era la mia guida, il mio mentore, il mio insegnante. Lei (cioè il suo avatar) mi avrebbe tenuto per mano e mi avrebbe condotto ovunque, e volevo che fosse così.

Per tutta la vita ho cercato di guidarla e insegnarle, ora lei stava facendo lo stesso con me. Non posso dire se considerasse quel gioco come una specie di allegoria della sua vita, anche se solo inconsciamente.

L’unica parte del gioco che non mi ha mostrato è stata quella in cui il tuo personaggio deve morire per proseguire, ha detto che non ero pronto per questo. Sapeva che sarebbe morta presto lei stessa? 

Di certo non ne ha mai parlato né ha mai chiesto. Avevamo deciso da prima che non glielo avremmo detto a meno che non ci fosse stato espressamente chiesto. Come dovresti dare quella notizia a tuo figlio? 

Per me, il gioco si è trasformato in una metafora di ciò che sarebbe accaduto una volta lasciato me stesso: lei sarà lì ad aspettarmi, prendermi e tenermi per mano, farmi da guida e tutore, portarmi dove devo andare”. 

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