Questa storia l’ho scritta molto tempo fa ed è nota. Benché concordata con la redazione, non è mai uscita. I motivi li riassumo così: la vita di un freelance è dura e spesso fa schifo. La pubblico qui e ci inauguro questo spazio perché tratta un tema che sta a cuore a me ma anche a milioni di persone nel mondo: il destino degli animali in guerre, catastrofi naturali e anche pandemie. Avevo un amico iracheno che un giorno mi telefonò in lacrime. Piangeva non solo per i civili bloccati a Mosul e nella piana di Ninive durante l’offensiva militare per liberarle dall’Isis, ma anche per gli animali abbandonati dalle famiglie durante la fuga o rimasti uccisi o feriti anche loro sotto le macerie. Era un famoso artista, originario di Baghdad. E’ scomparso qualche anno fa e mi ha sempre sostenuta tanto. Questo pezzo lo dedico a lui.
In Siria, sotto le bombe, un gruppo di persone lavora per salvare gli animali abbandonati o feriti tra le macerie dei quartieri distrutti. Alaa e il dott. Mohammed, insieme ad Alessandra Abidin dall’Italia, dal 2015 salvano gatti, cani, scimmie, cavalli da morte certa grazie ad un gruppo su Facebook e donazioni da tutto il mondo, perché «ogni creatura ha un’anima e merita di vivere ». Aggiornamento: mesi fa è iniziata la costruzione di un nuovo rifugio. Quello vecchio era finito sotto il tiro degli aerei da guerra. La storia di questa missione speciale continua ad essere una piccola perla preziosa nell’assoluta tragedia della Siria. (Foto di Hosam Katan)
Ernesto dei miracoli
L’uomo è il peggior male di se stesso e al contempo la propria scintilla divina, che talvolta lo grazia ed è capace di rivoluzioni. Ora, se gli occhi su cui guerra e crudeltà si riflettono in tutta la loro follia sono quelli degli indifesi e degli innocenti, i bambini e gli animali, la compassione è il primo potente sentimento che quella follia la disinnesca. E quando ci sono di mezzo bambini e animali, quelle rivoluzioni possono diventare miracoli. Aleppo, 2011. Il regime reprime le proteste che presto diventano guerra civile, fino all’assedio: taglio dei viveri e bombardamento di scuole e ospedali per indurre i quartieri dei «terroristi» alla resa, chiunque li abiti: civili, gruppi ribelli, jihadisti. Un gatto ferito si trascina tra le macerie. Mohammad Alaa Aljaleel, già elettricista, pittore, decoratore, informatico, installatore di antenne paraboliche, è adesso autista di ambulanze e soccorre corpi vivi e morti in quel delirio di polvere e paura che è ancora adesso la Siria all’ottavo anno di guerra. Lo nota, ci sta male. Al termine di uno dei turni ne vede un altro vagare emaciato tra il cemento esploso delle case di un quartiere deserto. E ci sta ancora più male. Un giorno, prima di andare a casa, trova un macellaio e si ferma ad acquistare ossa. Le porta ai gatti, i gatti iniziano ad aspettarlo ogni giorno. Vivevano nelle case, anche loro hanno perduto tutto. Chi fugge li deve lasciare indietro. Dalle macerie si estraggono solo gli umani. Anche Alessandra Abidin, di origini libanesi ma che a Cremona vive, studia violino e lavora, sta male perché il suo gatto Ernesto ha due anni e mezzo e un tumore grave. E’ il 2015. « La mia datrice di lavoro mi aveva prestato i 750 euro per curarlo. Ne sono serviti meno, lui non ce l’ha fatta e volevo restituirglieli- spiega. Lei non li voleva indietro così ho cercato qualcuno a cui donarli per beneficenza». Alaa finisce in uno degli scatti più celebri del fotografo siriano Hosam Katan: ha in braccio un gatto rosso che socchiude gli occhi, i gatti lo fanno con chi li ama, dei quali poi si eleggono piccoli spiriti guardiani. Lui invece ha quello sguardo lì, quello della compassione. Lo stesso di quando salva gli uomini. Le suo foto mentre sfama i gatti di Aleppo girano sui social. Alessandra lo cerca: quei soldi, in memoria di Ernesto, vadano ai «piccoli» di Aleppo. Alaa, che ha moglie e tre figli e non vuole abbandonare il paese, parla solo arabo e chi lo stava già contattando per aiutarlo non riesce a comunicare con lui. «A novembre 2015 ho creato un gruppo Facebook col nome Il Gattaro di Aleppo per dialogare in inglese con i donatori e aperto un canale sicuro per inviare le donazioni» -spiega Alessandra. Tutto trasparente. Il Gattaro è un gruppo chiuso per evitare speculatori ma che in pochi mesi raggruppa 3.400 persone (oggi sono oltre 25.000) grazie alle quali nasce un gattile, la prima struttura del genere in Siria: «Ernesto’s Sanctuary», nell’area est. Ci vivono i gatti salvati da Alaa in una città che allora era spaccata in due, metà lealista e metà no, che conterà 30 mila morti e 270 mila sfollati.
Uomini e animali
«Qualcuno ha scoperto che esiste una guerra in Siria solo perché ama i gatti e ha deciso poi di iniziare ad aiutare animali e famiglie- racconta Alessandra, ora presidente di House of cats Ernesto ONG. Ricevo anche richieste di adozioni, molte dagli Stati Uniti. Mi dicono che andrebbero personalmente a prendere i gatti arrivando in aereo. Non hanno ancora capito». Oggi è operativa una clinica veterinaria che effettua cure, vaccini e sterilizzazioni, il «santuario», un giardino con scuola e un appezzamento-fattoria, diventati un’oasi per gli animali e un punto di riferimento per la popolazione in un’area oggi sotto il controllo di bande e milizie armate, a Kafr Naha, ad ovest di Aleppo. Ci vivono 350 gatti, un pollo, 20 cani di cui 4 Saluki (il pregiato levriero persiano), un asino, un dodo, un cavallo, capre, 4 scimmie, 6 tartarughe. «Il nostro veterinario ha ottenuto il permesso e per 10 giorni è rimasto in Turchia per i documenti necessari a far uscire le scimmie dal paese- spiega Alessandra. Nel tempo abbiamo salvato anche 5 volpi, curate e liberate, e dei gufi, acquistati dal proprietario per un centinaio di euro. Nel 2017 ci hanno chiesto di salvare gli animali sopravvissuti del Magic World Zoo: 4 tigri, un leone, 2 orsi, un cane Siberian Husky, due iene». Erano in mezzo ai bombardamenti completamente abbandonati al giardino di Aalim al-Sahar. Nessuno tranne lei ed Alaa ha idea di quanto sia stato complicato nutrirli, trasportati e attraversare i check-point. Al confine turco i funzionari avevano paura, servivano i documenti, sono state costruite appositamente le gabbie per trasportarli mentre venivano ospitati nell’oasi di Karacabei nella provincia di Bursa, Turchia occidentale. Poi l’odissea logistica e i costi colossali, sostenuti dalla Ong Four Paws, per organizzare materialmente il trasferimento al sicuro verso Olanda, Giordania e Sudafrica. Qualche giorno fa è stato salvato un cane e un cavallo feriti da schegge. Ora è direttamente la popolazione a segnalare la presenza di animali che vagano in strade e quartieri deserti. «Gli ultimi salvataggi li abbiamo effettuati in una Khan Sheikhoun completamente rasa al suolo -dice Alaa. Generalmente parto prima dell’alba se la zona è sotto attacco, per sfruttare i momenti di calma».
Un veterinario speciale
«Alcune famiglie vengono in clinica ad affidarci i loro animali prima di espatriare, piangono e ci pregano di trattarli bene perché sono figli, ci fanno promettere di inviare loro foto» – dice Mohamad Youssef, il veterinario che nell’aprile 2017 ha iniziato a lavorare dentro quella che ad oggi è divenuta una squadra con Alessandra come manager: Wael l’uomo del Giardino, Ahmed addetto alle pulizie, Anas il fotografo, Alaa Jr il custode, Kamal inserviente, Abu Ali il direttore e Marwan il tesoriere. «Qualche settimana fa siamo andati da una famiglia a prendere diversi gatti perché stavano tutti per andare in Turchia e un signore anziano che piangeva interrottamente mentre salutava le sue gatte ci ha molto commosso» -racconta. Viene dalla periferia di Damasco, Madaya, è arrivato a bordo degli «autobus verdi», quelli su cui sono state trasferite milizie jihadiste e ribelli con le loro famiglie dopo gli accordi di resa dei quartieri occupati col piano strategico di de-escalation voluto dalla Russia verso aree come Idlib. Durante l’assedio ha fatto il chirurgo dell’ospedale: «Per mancanza di medici ho lavorato lì per diversi mesi. Visto lo stato di emergenza amputavo arti, effettuavo cesarei di emergenza e molto altro». Quando l’area è stata riconquistata dal regime è stato evacuato ed è tornato al suo vecchio lavoro di veterinario. E’ assunto, riceve uno stipendio da una ong tedesca che lo ha formato a distanza anche con video tutorial per operare su animali da compagnia. «Qui il veterinario si occupa solo di pecore e cavalli, se un gatto o un cane sta male viene lasciato a se stesso, non c’è la cultura della loro cura, gli animali spesso sono sottoposti a crudeltà, non contano molto. Anche sterilizzarli è ritenuto innaturale e contro la volontà di Dio» -precisa Alessandra.
Maxi, Sparky e il futuro della Siria
L’account dell’ambasciata russa qualche tempo fa ha lanciato un tweet con foto del Santuario per dimostrare che bambini e animali stanno bene in Siria. Poi è stato rimosso. Il rifugio è in un’area in cui imperversano bande fuori controllo che, a conoscenza dei fondi raccolti e degli aiuti che arrivavano a molte famiglie tramite la rete solidale, hanno provato a rapire Alaa. Ma quello che sembrava la fine di tutto è arrivato a fine 2016: la prima sede del gattile è stata bombardata durante l’assedio. I 180 gatti che ospitava morirono sotto ordigni a frammentazione e gas al cloro lanciati dalle forze governative. A metà dicembre, i 4 anni di guerra di posizione finiscono con la conquista dei distretti di Bustan Al-Qasr e di Sheikh Saeed e Russia e Turchia mediano resa e trasferimento degli ultimi combattenti. Il 22 dicembre Damasco annuncia la riconquista della città, dopo aver aver contribuito a renderla la «Dresda araba». Anche Alaa, che aveva continuato a portare feriti negli ospedali sotterranei e aiuti agli assediati, viene evacuato con i celebri autobus. Parte con la famiglia e gli ultimi 6 gatti del santuario. Ma torna dalla Turchia poco tempo dopo: «La guerra è una brutalità per tutti, e la realtà è peggio di ciò che una qualsiasi foto che vedete può raccontare» -spiega. La raccolta fondi riparte con più slancio e il progetto si allarga: nasce il parco giochi e la piccola scuola ad oggi frequentata da 105 bambini di cui la metà orfani che ricevono cibo e vestiti. Con i gatti combattono i traumi della guerra e imparano, dice, «la libertà, il rispetto e l’amore incondizionato per tutte le creature». «Ogni tanto vengono organizzate uscite per recuperare i gatti abbandonati con piccoli gruppi di bambini. Abbiamo assunto tre insegnanti per la scuola ma ancora nessuno è ospitato qui come in un vero centro di accoglienza, dobbiamo finire i lavori» -continua Alessandra. Ha appena dato alle stampe il libro «Maximus Cattus of Aleppo», con cui attraverso foto, disegni e le vicende degli animali salvati racconta la guerra in Sira, la rivincita, il coraggio, i sogni dietro una storia che lei stessa definisce «reale ed assurda». Protagonista è Maxi, un gatto tigrato, il «capo della raccolta fondi». Ogni gatto ha un nome. Quando l’Isis è entrata ad Aleppo, in contemporanea è arrivato un gatto che terrorizzava tutti gli altri, ribattezzato al-Baghdadi. C’è Mr Cucumber, il gatto vegano. Oppure Sparky, la mascotte più celebre, «salvato dalla strada molto piccolo»- spiega Alaa. Quando a fine giugno è morto per una malattia, dall’Inghilterra è arrivata una lunga lettera-poesia che ha commosso la grande comunità legata al rifugio perché descriveva non un gatto, ma quel sentimento che, quando coinvolge uomini e animali e ne tocca il dolore, annulla le differenze, compie miracoli, disseppellisce coscienze, fa credere nel futuro, è un riscatto dal male, rende illogica la guerra. E’ la compassione per la vita, qualsiasi forma abbia: «Ma i gatti hanno missioni più profonde, le loro auree sono blu e creano vortici di energia, proteggono me e te. Creano il loro destino mentre danzano sui nostri percorsi/ Ricordate amici miei che i miracoli accadono/ Quindi forse la lezione, come direbbe Sparky è: esci e fai questo, trova la strada. Trova la gioia e trova l’amore e salva i gattini come me. E insegna ai bambini cosa significa essere liberi».
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