“Il buio sotto la divisa”. Non numeri e mostrine, ma storie di uomini

E’ la vigilia dell’uscita de “Il buio sotto la divisa“, edito da Round Robin Editrice. E sono emozionata. Lo spunto è venuto più di un anno fa da un’inchiesta uscita per L’Espresso sui suicidi tra le forze dell’ordine e le forze armate. Giovedì sarà in tutte le librerie. Quando sono arrivate le prime copie, ne ho presa una e ho pensato subito: “Accidenti, tutto quel lavoro per un libro così piccolo”. Ma non è un libro piccolo, è un libro denso, in cui io sono trasparente e ad avere peso e misura sono le voci di chi mi ha aperto casa, cuore e dubbi per tenere viva una storia, un servitore dello stato, un uomo. I numeri del fenomeno dei suicidi tra le divise sono una nicchia sul piano della cronaca, e un unicum sul piano delle statistiche: variano a seconda di chi li raccoglie, associazioni, sindacati, le singole Amministrazioni. Per alcune di queste ultime ad esempio, gli eventi “fuori dalla caserma” non sarebbero da inserire nell’elenco. Molte famiglie non vogliono rende noto il fatto. Mentre chi valuta il fenomeno cercando di minimizzarlo, ritiene che non ci siano peculiarità rispetto ai suicidi in generale. Anzi, ritiene che non si debba definire neppure “fenomeno”, perché i numeri sono proporzionati rispetto al numero complessivo di chi veste una divisa, risultando “nella media”. Non è così. Discrepanze, ipotesi, punti di lettura, analisi sono contenute alla fine del libro e credo smontino molti “costumi” e molte di queste “credenze”.

I protagonisti sono sei, ogni storia viene da un corpo o una forza dell’odine diversa: il poliziotto Bruno Fortunato, il capitano della Finanza Fedele Conti, l’ispettore della Polizia Municipale Daniele Da Col, il maresciallo dell’Arma Marco Massinelli, il brigadiere dell’Arma Santino Tuzi e l’agente della Polizia Penitenziaria Vitantonio Morani.

Per la prima volta, la loro fine, più o meno chiara, più o meno risolta, è raccontata da dentro: amici, familiari. Ho pensato che fosse il modo migliore per raccontare questa piaga, per trovargli un filo. I numeri non bastano e una volta svanita l’indignazione o il senso di impotenza, finiscono lì. Invece bisogna partecipare. Bisogna conoscere e sentirle le vite altrui. E io spero di esserci anche solo in minima, minima, minima parte riuscita. Non è facile camminare dentro la dimensione più intima e inaccessibile di ogni individuo: la libertà di disporre della propria vita.

Questa la sinossi che leggerete nel libro:

La divisa non rende eroi, eroi sono le donne e gli uomini che la indossano. E la loro forza o fragilità è responsabilità di tutti. Ogni giorno in Italia la vita di questi servitori dello Stato si intreccia con i grandi fatti di cronaca del paese o con il quotidiano, spesso altrettanto difficile: alcuni di loro scelgono di non farcela e il loro suicidio diventa quasi subito un numero dentro un fenomeno complesso e sfumato, di cui neanche lo Stato vuole parlare. Ma dietro quei numeri ci sono storie dolorose e straordinarie come quella di Bruno Fortunato, il poliziotto che arrestò Nadia Desdemona Lioce decretando la fine delle Nuove Brigate Rosse. Quella di Fedele Conti, il capitano della Guardia di Finanza che tra i primi indagò gli intrecci tra politica e affari a Fondi, sul litorale laziale. E quella di Daniele Da Col, ispettore della Polizia Municipale di Firenze la cui vicenda ha fatto nascere una delle prime associazioni che combattono il mobbing. Storie e drammi privati e collettivi, spesso dai contorni misteriosi, che non possono essere ignorati“.

(Nel disegno, Bruno Fortunato ritratto dal nipote Luca)

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